Vini DOC di Sardegna

Come al solito in Sardegna non si riesce, tra le cantine, trovare un’intesa per affrontare il mercato mondiale con l’unione di tutti, anziché avanzare in ordine sparso ma, spesso, l’una contro l’altra. Allora chi produce il Vermentino di Gallura dice che solo quello è il vero Vermentino, mentre non lo è quello del resto Sardegna. Analogamente, i produttori del Cannonau di Sardegna che vinificano nell’Ogliastra, affermano che solo il loro è il vero Cannonau, e via cantando!

Anziché avanzare uniti si fanno la guerra l’uno contro l’altro, e poi ci meravigliamo se la Jo Ahearne, sommelier e giornalista inglese dica come si fa a riconoscere il miglior Cannonau, tra quello del sud, dell’interno, delle coste. Forse nessuno le ha detto che il colore del vero Cannoau è un rosso rubino più o meno intenso e che quello che si ottiene in purezza senza il rinforzo di altre uve nere che, anche se ammesse per il 15%, incidono sulle caratteristiche del restante 85%. Evidentemente ogni produttore le ha detto che il suo era meglio degli altri. Le TV  e la stampa locali hanno fatto parlare del Cannonau dei sommelier, dei produttori, anche aziende chi imbottiglia quello prodotto da altri, ma non hanno intervistato l’unica persona che ha pubblicato un volume di oltre 500 pagine tutto dedicato al Cannonau: l’enologo Enzo Biondo.

Manca in Sardegna una memoria storica  della recente vitivinicoltura sarda. Oltre al Cannonau, al Vermentino ed al Carignano, ci sono altri due vini che hanno reso famosa la Sardegna: la Monica ed il Nuragus. Navi cisterna piene di questi vini andavano nella Penisola, fino in Francia ed in Germania, per migliorare i Chianti col Cannonau d’Ogliastra  ed il Carignano del Sulcis, la Monica era gradita dai francesi, mentre il Nuragus rendeva ancora più famosi i vini bianchi dei Castelli Romani, ed i vini tedeschi. 

Grazie alla visione ed al coraggio del compianto Federico Corda Argiolas il nostro Nuragus, allora un vino di alta gradazione, ossidato e inadatto al mutare dei  gusti dei consumatori, che abbiamo oggi un vino a DOC che non ha niente da invidiare ai più famosi vini laziali e veneti. La stampa locale, però, non ne parla.

Negli anni ’70 accompagnai personalmente, insieme ai nostri dirigenti ministeriali, il Capo dell’Antifrodi francese per fargli conoscere i vigneti dell’Ogliastra e dimostrare il coraggio e la passione dei viticoltori ogliastrini e che i motivi del sequestro (alta gradazione alcolica e basso estratto secco) non era dovuto ad una fraudolenta alcolizzazione, ma alle caratteristiche naturali dell’uva. 

Ritengo quindi del tutto inadatte, se non dannose, le dichiarazioni dell’Assessora all’Agricoltura pro-tempore la quale, dall’esperienza risicola di famiglia, parlando di vino avrà ripetuto quello che le avranno scritto il suo staff, uscendone con delle dichiarazioni banali e controproducenti.

Evidentemente non conosce minimamente la filosofia che caratterizza le D.O.: il clima, il territorio, l’uomo. Basta aver letto la ponderosa opera del compianto Marcello Serra “Sardegna quasi un Continente” per rendersi conto che la Sardegna non ha un territorio e usanze univoche, caratterizzato da terreni,  climi, culture diverse.

Sul clima, sappiamo tutti che l’estate del Campidano e del Sulcis è ben diverso da quello dei monti dell’Ogliastra e della Barbagia, così come quello della Gallura è diverso da quello dell’Oristanese e della sua costa.

Sui terreni, mentre il Vermentino in Gallura si coltiva su terreni di disfacimento granitico, quello di Usini, di Ossi e di Ittiri affonda le radici nelle colline tufacee e quello del Campidano su terreni alluvionali.

Altrettanto vale per il Cannonau, dove nell’Ogliastra ed in Barbagia ha trovato il terreno ideale e un’arte di vignaioli che hanno impiantato vigne su terreni scoscesi, tenuti con una mania quasi religiosa, spesso da vendemmiarsi senza chinarsi troppo per le forti pendenze, mentre nel Campidano gli alberelli soffrivano il caldo e l’umido settembrino.

Pertanto è una solenne sciocchezza l’affermazione dell’Assessora riportato nella stampa tra virgolette: “non serve differenziare i vari territori d’origine, serve un prodotto omogeneo, deve diventare Cannonau di Sardegna”. Mi sembrano le stesse banalità di quelli che dicevano che in Sardegna c’erano troppe DOC o troppe etichette!

Assessora Falchi, i suoi consiglieri, le hanno detto che esistono tre sottodenominazioni del Cannonau di Sardegna (Nepente di Oliena, Capo Ferrato, Jerzu) proprio perché sono tre vini che, pur avendo una base comune, si differenziano l’uno con l’altro e che ogni zona si caratterizza dall’altra? Le hanno detto che la tipologia “Classico” non significa per legge che solo quello ottenuto nelle provincie di Nuoro e dell’Ogliastra è il Cannonau classico, ma che il termine significa solo a stabilire – anche se forzatamente – la zona di produzione più antica? Le hanno detto che il Vermentino coltivato in Gallura ha delle caratteristiche ben diverse, e non per questo migliori di quello di Usini?  Si chiede perché i disciplinari consentono di indicare per le DOC anche i vigneti, purché appartenenti in un elenco regionale che è ancora tutto da fare e sfruttare adeguatamente, per avere anche i nostri “ Cru”? Ha mai avuto occasione di degustare il Verdicchio? Ha notato come quello dei Castelli di Jesi sia nettamente diverso da quello di Matelica? Non per questo l’uno è migliore dell’altro. Esempi se ne possono fare a josa, se parliamo della vitivinicoltura della Penisola. 

Ogni vino ha una sua specificità, ogni produttore ha le sue tecniche produttive, ma nessuno può dire che il suo è migliore dell’altro: il giudice unico è il consumatore che, pur facendosi guidare dalle frasi iperboliche e spesso dagli sproloqui di  pseudo esperti di vini nel trovare termini, sentori, profumi, nuance, beve quello che gli piace.

Il bello della nostra viticoltura sta nelle sue tante specificità e varietà date dai terreni e dai vitigni, dalle varie denominazioni, dai tanti produttori, anche di quelli che, iniziando con sole 10.000 bottiglie, nel tempo si sono ingranditi ed hanno arricchito la nostra enologia. In Sardegna ne abbiamo molti, nati negli ultimi trent’anni.

La Regione deve preoccuparsi di dare la possibilità ai viticoltori di essere aiutati nel migliorare le tecniche colturali, la ricerca agronomica, ed alle cantine di abbassare i costi di produzione e soprattutto di trasporto mediante una vera continuità territoriale delle merci, di facilitare la commercializzazione dei vini imbottigliati senza doverli inviare fuori dell’Isola per dare ad altri un valore aggiunto i quali potrebbero moltiplicare i quantitativi imbottigliati o migliorare, con il taglio dei nostri prodotti migliori, quelli di altre zone.

Quindi, smettiamola di parlare in ordine sparso e di farci del male tra di noi, ma di valorizzare le diversità produttive dei nostri vini ricavati da una terra talmente unica e specifica da considerarsi “quasi un Continente”.