Ancora sul formaggio rumeno importato in Sardegna

 Se non fosse stato per l’eccesso di zelo della Polizia Stradale di Pistoia, nel sequestrare  provvisoriamente il carico di pecorino sardo prodotto in Romania e destinato in Sardegna, non sarebbe tornato d’attualità un pasticcio - a quanto pare perfettamente legale, a meno che non si approfondiscano le indagini, scoprendo magari che dai movimenti di import-export i consumatori sardi ed italiani potevano essere stati indotti in inganno  sulla vera origine del latte che ha dato origine a certi prodotti commercializzati dall’Azienda Casearia dei F.lli Pinna di Thiesi.

Dalle dichiarazioni riportate sulla stampa, uno dei Pinna ha dichiarato che il latte rumeno è migliore di quello sardo, denigrando in certo qual modo le pecore sarde e chi vive di pastorizia. Dichiarazione tanto più infelice se dichiarata da un sardo e componente dei Consorzi di tutela dei formaggi DOP sardi. Ha anche aggiunto che il formaggio sequestrato e poi liberato, era destinato ad essere grattugiato a Thiesi e poi completamente esportato.

Possibile che nel caseificio rumeno non abbiano l’attrezzatura per grattugiarlo, imbustarlo ed esportarlo? Non aumentano i costi con questo andirivieni?  

I F.lli Pinna, accusati in passato di una concorrenza sleale nei confronti dei formaggi sardi, dichiararono che in Romania non producevano formaggi DOP (ci mancherebbe altro!), che lo esportavano  interamente in Europa e negli Stati Uniti, ma è lecito chiedersi per quali motivi usano marchi di fabbrica, come “Dolce vita”, “Toscanella”, “Pecorino”,  “Grattugia”?

Commercializzare formaggi rumeni utilizzando nomi di fantasia italiani è facile indurre in errore i consumatori europei, statunitensi oltre a italiani e sardi, poiché ben pochi leggono - nelle scritte riportate sempre in piccolo sulle etichette - il nome ed il luogo dello stabilimento produttore (che l’Ue, tra l’altro, vorrebbe abolire).

Se poi consideriamo che quel caseificio, dove i F.lli Pinna hanno una quota del 70%, è stato finanziato  dal nostro Stato con 5 milioni di euro, non meravigliamoci se 4.000 pastori ed agricoltori sardi hanno manifestato a Cagliari tutta la loro rabbia per dover vendere il latte delle loro pecore ad un prezzo  a litro  che non  copre i costi aziendali e che permetta di non abbandonare un’attività che dura da millenni.

Romano Satolli – Unione Nazionale Consumatori